Il sospetto – Un racconto del workshop NebbiaGialla 2012

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27 visualizzazioni - pubblicato il : 21-04-2012

incipit: Viste inaspettate
Racconto di Luca e Paola Tempini

Si erano salutati come tutte le mattine. Un ciao, seguito dal solito bacio senza passione ma carico di quell’affettuosa complicità che lega le coppie sposate con i figli grandi. Lei era rimasta sulla porta finché lo aveva visto entrare nell’ascensore poi aveva chiuso con lo scrocco e si era diretta in cucina per lavare le tazze della colazione. La sua stazione radio preferita a quell’ora dava il buon giorno con vecchi successi. Canticchiando raccolse le stoviglie, le sistemò nell’acquaio e aprì il rubinetto dell’acqua calda. In quel momento partirono le note di Non sono una signora. Alzò il volume e stava per inserirsi nel refrain a squarciagola quando colse con la coda dell’occhio un rapido movimento appena oltre la soglia della cucina.
Si bloccò all’istante.
Un’immagine stava passando repentina sul televisore muto nell’altra stanza e si insinuò, veloce e cattiva come una lama nella testa e nel cuore di Giovanna. Si trattava di un quadro. Un dipinto che raffigurava due militi a cavallo in un campo di grano.
Armeggiò con il tasto POWER per abbassare il volume facendo strozzare in gola l’acuto alla Bertè e imprecò fra sé e sé perché non riusciva a trovare il telecomando del televisore. Lo scovò solo dopo aver buttato il divano all’aria: infido e provocatorio, come se avesse avuto un moto ed una coscienza propri, l’apparecchietto si era infilato in un interstizio nascosto, facendo perdere secondi vitali per la comprensione della notizia che stava passando al TG1 delle 13,30.
“I ladri,”stava dicendo l’inviato del telegiornale, “erano riusciti a trafugare la tela dal museo d’arte moderna di Suzzara dopo una colluttazione con il custode e, senza occuparsi d’altro, erano riusciti a fuggire con la sola refurtiva del famosissimo ‘Gendarmi a cavallo’ . L’indagine era stata assegnata direttamente ai carabinieri del nucleo per la salvaguardia del patrimonio artistico di Firenze, adatti all’uopo per la conoscenza delle bande criminali operanti nel mondo dell’arte…”
Giovanna restò ferma, impalata come se avesse inalato un gas paralizzante. Una settimana prima una notizia come quella appena ascoltata non l’avrebbe minimamente toccata. Neppure le sarebbe passato per la mente di interessarsi ai furti del patrimonio artistico di cui, peraltro, non s’era mai occupata gran che, se non fosse stato per quello strano regalo impacchettato in uno spesso strato di carta velina che suo marito le aveva messo fra le mani tre giorni prima, rincasando più presto del solito.
Ora quel regalo era lì, appeso ben saldo sulla parete bianca: raffigurava due militi a cavallo in un campo di grano.
Non le occorse molto per immaginare cosa fosse accaduto: conosceva gli ambienti malavitosi che il marito aveva giurato di abbandonare. E conosceva anche i suoi i suoi amici poco raccomandabili, inclini a sconfinare negli affari criminosi se appena scorgevano una possibilità di guadagno.
Appena Alfonso rientrò, quella sera stessa, Giovanna non seppe trattenersi. Lo apostrofò con epiteti ingiuriosi, poi accusò d’essere un ladro e lo colpì al volto, con un pugno diretto, inaspettato.
Fu quello forse, più di tutto, che scatenò la reazione del marito. Incapace di trattenere la rabbia, l’uomo colpì la moglie repentinamente, senza trattenere la forza, con due precisi manrovesci cui fece seguire, quasi senza accorgersi, un calcio potente, sferrato di punta, direttamente sul ginocchio piegato.
La donna cadde all’indietro, vinta dalla violenza dell’ultimo colpo.
Non fu tanto il sangue che le scendeva copioso dal naso, a instillarle, improvviso, quel sentimento di vendetta incontenibile che non le era mai appartenuto prima d’allora. Neppure quella umiliazione corporale, che pure poteva aspettarsi, vista la stazza e la forma fisica di lui, fu decisiva. Piuttosto a pesare più di tutto fu la sensazione di essere stata ingannata dal marito, che le aveva mentito fino alla fine.
Si alzò, risoluta, dal gelido pavimento di formica. Strinse in pugno il candelabro di bronzo e lo abbatté sul capo di Alfonso, impreparato a una simile reazione della moglie.

I carabinieri la sottoposero a un lungo interrogatorio nella sua camera da letto. Quando il maresciallo le disse che il quadro “Gendarmi a cavallo” era stato recuperato già poche ore dopo il furto, al confine con la Svizzera, e che la sua storia era poco credibile perché già al telegiornale delle 13,30 era stata diramata la notizia della cattura dei ladri, Giovanna pensò al telecomando perduto e non riuscì a impedirsi di sorridere. Tuttavia, prima di seguirli, ammanettata, si avvicinò al quadro ancora appeso alla parete. Lo osservò attentamente e sbiancò. Quel dipinto era una copia mal riuscita, eseguita da un falsario d’autore poco dotato: se lo avesse analizzato ben bene se ne sarebbe accorta anche lei.





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