Il soldatino di piombo – Un racconto del workshop NebbiaGialla 2012

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37 visualizzazioni - pubblicato il : 14-04-2012

Incipit: Il caffè dell’Angiolina
Racconto di Luca Patelli e Chiara Martinelli

Il caffè dell’Angiolina era davvero buono.
Aveva un retrogusto indefinibile, come di nocciola. O di mandorla.
Glielo disse.
«Ma lo sa che il suo caffè è proprio particolare, Angiolina?».
Eh sì, caro. Lo so”, rispose lei, sorridendo civettuola. “Però, anche se siamo vicini di casa da tanti anni, non le posso dire cosa ci metto dentro. È un segreto”.
“Eh, allora vuol dire che verrò sempre a berlo qui da lei…”. disse lui sollevando la tazzina per fare cin cin col dito mignolo arricciato.
Stava quasi per congedarsi quando ricordò il motivo della visita.
“Signora Angiolina, ero venuto a dirle che ieri sera sono sceso in cantina per prendere una bottiglia di vino e mentre ero giù ho sentito un rumore.”
La cantina era situata al piano interrato di un elegante palazzo di Corso Galileo Ferraris, ai piedi delle Alpi, a Torino.
Il caseggiato, risalente ai primi del ‘900, era stato realizzato per farne un ospedale psichiatrico ma con l’avvento del fascismo il progetto era stato rivisitato mentre gli spaziosi appartamenti erano stati destinati ai reduci dell’ultimo conflitto mondiale.
Da allora, le storie delle molte famiglie che si erano avvicendate al suo interno avevano fatto quasi mormorare quei lunghi corridoi. Le esperienze che lì si erano vissute e alcuni fatti poco chiari, a distanza di anni, ancora occupavano il chiacchiericcio delle massaie affaccendate a stendere i panni sui grandi balconi già dai primi giorni del mese di maggio.
“La bottiglia di vino,” disse Gualtiero, “non la volevo bere a cena, ma era destinata a entrare a far parte del cesto natalizio che ogni anno prepariamo per don Giuseppe. Sa, Angiolina,” spiegò, “Don Giuseppe non ama solo intrattenersi su Facebook, ma apprezza molto sia il buon vino sia la buona tavola”.
Gualtiero, ormai vicino ai cinquant’anni, da quando era ragazzino frequentava l’Oratorio di via Diaz e aveva visto succedersi sei preti e ben nove curati. Alla dottrina era una vera istituzione e non mancava mai di partecipare all’organizzazione di gite, pellegrinaggi, riffe o anche semplici pettegolezzi sui religiosi della zona.
Gualtiero, ragioniere alla Fiat, era la classica persona per bene.
«Stavo appunto per risalire in casa,” riprese, dinanzi a una Angiolina incuriosita, “quando un gridolino mi ha fatto trasalire. Lì per lì non ho avuto il coraggio di percorrere il corridoio buio dal quale il rumore era partito, ma giunto sul pianerottolo mi sono appostato e dopo cinque minuti ho visto uscire l’architetto Borella”.
A questo punto lo sguardo di Angiolina si illuminò e la curiosità rese il suo viso meno stanco e vecchio.
Strano uomo l’architetto Borella. Basso di statura, minuto, ma dotato di uno sguardo acuto e malizioso che, a incrociarlo, ti faceva guardare altrove perché incuteva un immotivato imbarazzo. Di lui si sapeva poco o niente e la sua riservatezza aveva alimentato negli inquilini del palazzo le teorie più fantasiose.
“Ebbene?” lo incalzò Angiolina resa vivace dalla prospettiva di un succoso pettegolezzo. “Cos’è successo poi?”
Gualtiero, incoraggiato dall’interesse della vicina, riprese il racconto.
“Sono rimasto a lungo a chiedermi chi o che cosa avesse potuto emettere quel gemito sommesso senza sapermi dare una risposta. Forse la fantasia mi stava giocando un brutto tiro. Ma la vocina strozzata poteva essere il grido soffocato di un bimbo in pericolo. Così alle due del mattino non riuscendo più a dominare tutte queste emozioni, e mi sono deciso. Dovevo andare a vedere.”
“E allora?”
“Sa bene, Angiolina,” sottolineò Gualtiero. “Il corridoio è buio e la cantina dell’architetto Borella è proprio in fondo. C’è voluto del fegato ad andare laggiù in piena notte con la sola luce della mia piccola torcia”.
Alla fine la cantina era risultata deserta e i muri erano coperti dalla gelida umidità che invade tutto l’ambiente già dal mese di settembre.
“Ti confesso, Angiolina, che mi ero immaginato mille cose orribili e la stanza vuota mi ha dato un certo senso di sicurezza.”
Brava persona l’architetto Borella.
Angiolina dissimulò a fatica la delusione e, in modo più brusco di quanto avrebbe voluto, lo incalzò, animata da un filo di speranza di poter partecipare a un mistero.
“Ma se non c’era nessuno, allora il rumore da dove era venuto?”.
“Mi ero quasi convinto che fosse stata una mia allucinazione e stavo per risalire” spiegò Gualtiero, con la voce divenuta un sussurro, “quando sotto la ciabatta sinistra ho sentito qualcosa di spigoloso. Mi sono chinato e l’ho visto… un soldatino di piombo. Lucido, con una sciabola nella mano destra. Il giocattolo di un bambino… Chissà da quanto tempo era lì!”





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