Storie d’amore, di morte e di follia

Autore: berselli
Editore: arpanet

Articolo di andrea villani
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201 visualizzazioni - pubblicato il : 8-03-2007

Storie d'amore, di morte e di follia di Alessandro Berselli è un libro breve ma incisivo. Si tratta del prequel/interquel/sequel al romanzo di Paola Calvetti Né con te ne senza di te. Tema, se mi si consente, già affrontato, a suo modo, da Gabriele D'Annunzio nel suo Trionfo della morte. Storie d'amore, di morte e di follia è un libro intenso. Che già da subito chiarisce, nelle sue stesse intenzioni, gli elementi fondamentali che costituiscono la scrittura di Berselli. Una scrittura limpida. Chiarissima. Senza inganno alcuno. Che riesce, proprio attraverso la sua limpidezza, a provocare emozioni forti.
“Penso spesso al suicidio, non come a una sorta di congedo vigliacco ma come a un modo naturale di togliere il disturbo. Dio o chi per lui avrebbe dovuto darci gli strumenti per capire, sono stanca di giocare senza conoscere le regole. Senza sapere cosa si vince. Ci crediamo così importanti, e invece non siamo niente. Non siamo proprio assolutamente niente...”
Il nichilismo è, essenzialmente, la completa negazione di ogni assolutezza, che percorre le strade dell'indeterminazione dell'essere. Ma in Berselli, questo nichilismo ostentato, è piuttosto fonte di catarsi. Non solo letteraria. Non solo artistica. C'è una grande forza positiva nell'autore.
Ed è proprio la forza innata dell'autore che sa accompagnare il lettore attraverso il proprio inferno tenendolo, dolcemente, per mano.
Storie d'amore, di morte e di follia non è un romanzo lungo ma può certo considerarsi un libro straordinariamente “largo”.
Alcune domande all'autore.

Amore e morte: binomio artistico/filosofico, fonte d'infinita ispirazione letteraria. Follia intesa come collante di questa funzione o follia intesa come salvezza dalla mediocrità dilagante?

Follia intesa come salvezza, come antidoto alla noia, o, come dici tu, come unica reazione possibile alla mediocrità dilagante. Follia nichilista, perversa, malsana, follia come occasione ultima per avere visibilità. Follia mezzo espressivo, follia come forma d'arte. Follia per dire NON SONO UN'OMBRA, follia per dire IO ESISTO.

Cosa significa essere scrittore nel terzo millennio, un secolo in cui le emozioni vengono sfornate in serie e sono accomunate da un unico principio d'appartenenza: sociale, politico ma soprattutto economico?
Non saprei, a dire il vero come scrittore non sento poi tutta questa grande appartenenza al terzo millennio. Quando scrivo, più che un contemporaneo, mi sento come un romantico tedesco, come uno di quelli che racconta di angoscia, di morte, di dolore, uno interessato al lato dolente dell'umanità. Mi piacciono i perdenti, quelli che non se la giocano, quelli che rinunciano. I morti che camminano. Ma forse anche questo è terzo millennio. Chissà...

Storie d'amore, di morte e di follia è il tuo primo romanzo. Ne hai terminato un secondo. Un'altra storia d'amore, morte e follia, dove queste tre condizioni primarie subiscono un'ulteriore degenerazione. Ancora più imponente. Credi che si tratti di codici appartenenti alla scrittura che ti è più congeniale o avverti nell'aria qualcosa di veramente pericoloso?
Tutte e due. Congeniale sicuramente, ma altrettanto vero è che quello che c'è nell'aria non è per niente rassicurante. Il lato oscuro della natura umana, questo è il problema. Ci crediamo tranquilli ma sappiamo bene che non è così. Siamo tutti al limite, per questo dobbiamo stare attenti. Badare a noi stessi, attenti a non esplodere. Forse non è quello che è nell'aria a essere pericoloso, ma quello che c'è dentro la nostra testa

Parlavo di te al telefono con Matteo Bortolotti (segretario dell'associazione scrittori di Bologna) ed entrambi concordavamo su una cosa: la tua è una scrittura di quelle che fregano. In gergo significa che, come acqua cheta, trascini il lettore, senza che se ne accorga, dove vuoi tu. Un buon seduttore insomma... Che ne dici?
Mi interessa creare il patto con il lettore. Farti cadere nella mia rete. Tenderti trappole, non renderti sicuro. Inquietarti. Turbarti. Lasciare che le cose ti avvolgano a tua insaputa. Renderti schiavo del mio libro. Imprigionarti. Se ci riesco, be', che dire? Che il gioco è riuscito!

Parafrasando Hemigway, la scrittura è una malattia che si cura con la stessa scrittura. È lo stesso per te?
Se intendi la scrittura come una sorta di esorcismo, posso concordare, ci può stare. Un modo per lasciare decantare i pensieri cattivi, per renderli, se non inoffensivi, perlomeno meno insidiosi. In effetti mi ci ritrovo abbastanza anche se, a dire il vero, mi rendo conto che sto meglio quando non scrivo, quando non mi specchio dentro me stesso. A guardarsi troppo c'è il rischio di non piacersi. Molto meglio immaginarsi. Molto meglio raccontarsela

Cosa pensi che facciano le case editrici per andare incontro a certi scrittori del sottobosco letterario italiano quando in loro c'è talento ma ancora poca visibilità?
Oddio, non ne ho idea. Alla fine leggo talmente poche cose che mi piacciono che mi chiedo davvero se il cosiddetto sottobosco letterario sia sul serio una risorsa o soltanto un patetico tentativo orchestrato da mediocri aspiranti scrittori per guadagnare visibilità. Ti devo confessare che tra gli esordienti che mi sono capitati sotto mano ho trovato molta tecnica ma poco cuore, gente che scriveva benissimo ma che non sapeva raccontare storie, o dominare la materia. Il virtuosismo non mi interessa. Mi annoia e mi disturba. Ma probabilmente sono stato solo sfortunato. Chissà quanti capolavori ci sono chiusi in quei dannati cassetti.

Alessandro Berselli è uno scrittore contemporaneo. Ma è vero che, leggendolo, si sente quel retrogusto ottocentesco, non certo nel genere di scrittura, che è snella, efficace e sicuramente moderna, ma nella volontà della ricerca. Alessandro Berselli è un uomo che ha bisogno, per vivere e non solo per scrivere, di quella vibrazione eroica, di quella tensione perenne di cui ci si nutriva a quei tempi. E che è esattamente ciò di cui, ad oggi, alcune realtà artistico letterarie sono carenti perchè si rivolgono alla televisione in primis. E poi, forse, a loro stessi e ai lettori.



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