La vera storia del naso di Pinocchio
Västerort, Svezia. Fine primavera 2013. Lars Martin Johansson è morto da quasi tre anni e molto ci manca. Il tondo quasi 60enne commissario Evert Bäckström è vivo e resta un uomo pessimo. Figlio d’arte, furbo corrotto ubriacone misogino arrapato volgare, né brutto né sciocco, capace di mirabolanti intuizioni induzioni deduzioni abduzioni, ricorda collega pianifica il suo esclusivo benessere, soprattutto gastronomico e alcolico. Tre casi criminali sono avvenuti fra il 19 maggio e il 2 giugno: l’aggressione a un barone nei pressi del castello della corte, il maltrattamento di un coniglio preso in carico dalla protezione animali, la morte violenta e piena di stranezze (sangue di vari, proiettili, escrementi nella stanza) di un equivoco ricco avvocato e del suo cane. Tutto ruota intorno a un traffico di preziose icone russe e oggetti d’arte lungo oltre un secolo, da Nicola II a Putin, per il tramite di Churchill (e Collodi). Bisogna avere tempo per gustare il nuovo romanzo del bravissimo 69enne professor Leif GW Persson (“La vera storia del naso di Pinocchio”, Marsilio 2014, pag. 617 euro 19,50; orig. 2013, trad. Katia De Marco), in terza varia.
Compralo su