Un caso di omonimia
Daniela Sacchi, giornalista economica politica, dal 1998 vive e lavora in Lussemburgo come addetta all’ufficio stampa della BEI (banca Europea degli Investimenti). Dedica alla scrittura (che confessa è una vera passione-malattia) il suo tempo libero. Un caso di omonimia non è il suo primo libro, altri l’hanno preceduto con successo, ma è il suo primo thriller story di sapore internazionale, affrontato in terza persona, ma nella veste professionale a lei più congeniale. Un’inezia, un piccolo errore in un indirizzo e-mail, fa arrivare a Vittoria Casati, giornalista romana in carriera, un messaggio destinato a un’altra persona, che si chiama come lei ma fa la psicologa. Il mittente è Carlo Volpiani, un collega, un giornalista arrivato, inviato a Bruxelles da un’emittente americana. Ma quel messaggio, che magari avrebbe voluto ma ormai non può più archiviare, la caccia a capofitto in un rapimento che ha per scenario un crudele pasticcio internazionale che coinvolge grandi e piccoli servizi segreti mondiali, con l’ombra inquietante dell’inesauribile conflitto afgano. Su quell’equivoco dell’omonimia si apre per Vittoria Casati, un irresistibile canale privilegiato verso una telecronaca diretta, verso il grande scoop, la chance dell’agognata ascesa professionale, ma anche un difficile percorso a ostacoli che la porta a Bruxelles e le da modo di offrire ai lettori oltre alla suspence, un omaggio alla città degno di una cartolina illustrata. Ma non basta, le pedine a rischio sulla scacchiera la costringono a una puntata in Lussemburgo, con un rapido tuffo nella piscina termale di Mondorf allo scopo di fungere da trait d’union e incontrare “certi grandi decisori” che contano. Trama avvincente, storia intrigante e pericolosa, piacevolmente alleggerita dai tratti di humour dell’autrice che fanno sorridere e da personaggi centrati ma che forse, a mio vedere, avrebbero meritato più respiro narrativo.
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