Tutti all’inferno
Stefano Di Marino ci ha abituato ad ambientazioni squisitamente internazionali, a spy story fantastiche, in ultima battuta ci ha offerto un intrigo alla Arsene Lupin. Per Milano poi ci aveva regalato un’indimenticabile e terribile Gangaland. Insomma ci aveva viziato in mille modi.
Con il suo nuovo libro per Calibro Noir della Novecento: Tutti all’inferno imbocca una strada un po’ diversa, forse più introspettiva, vissuta, sofferta ma che non mi dispiace affatto. Il suo protagonista e personaggio principe è il cinquantacinquenne Pietro Mai, ex pugile, combattente leale con un passato incerto, sofferto e un immenso magone di affetti perduti che l’opprime paurosamente, che gestisce con il vigoroso appoggio di Camillo, nano geniale e simpaticissimo, la Palestra Mani di Pietra in un seminterrato di via Panfilo Castaldi, quasi in Porta Venezia. Di Marino dipinge Milano come sa fare con calibrate sfumate di grigio o a tinte forti, sanguigne.
Poi, siccome ci vive, la conosce come le sue tasche. La sua Milano è reale, palpabile, come gli sfregi che segnano il corpo e le mani del suo eroe. Una città diversa da quella delle happy hours che reggono ancora con i denti un recente passato di maggior benessere. Una città nascosta, ma mica tanto, che alberga una fauna multietnica che si sopporta a fatica o si combatte, un mondo ai limiti della legalità, criminali redenti, ex prostitute e non, papponi, spacciatori, scippatori, piccoli truffatori, ricettatori, giocatori d’azzardo, che si possono incontrare in locali clandestini, sale massaggi, pseudo officine, bar e locali frequentati da tutto quel sottobosco cittadino. Una altra Milano da quella celebrata dalla fashion, le fiere di lusso, dalle manifestazioni modaiole con i loro eleganti viavai e le feste che durano fino all’alba.
Un città dura, cupa, contesa da mafiosi ucraini, cinesi, turchi, africani, arabi, che si spartiscono la torta con cinica spietatezza. Bella scenografia e ricostruzioni ambientali da manuale, tanto di cappello!
Coprotagonista nel romanzo l’ispettrice Liana Sestini, allieva della palestra del Mai, sua quasi pupilla e magari più… dritta, tutta d’un pezzo, vittima della protervia dei superiori che le appioppano le peggiori rogne.
E l’ultima, quella della storia, è il delitto camuffato da incidente che ha visto come vittima tale Damiano Marzucco che aveva in tasca un gioiello che faceva parte del bottino mai ritrovato di una sanguinosa rapina leggendaria. Una rapina che aveva visto l’eliminazione di tutti i partecipanti salvo uno, Marco Restelli detto il Truce miracolosamente, sopravvissuto a una terribile ferita, e che si sapeva organizzata e pilotata dall’Antico, misterioso deus ex machina di tutti i più grandi colpi del passato. Sconosciuto a tutti, imprendibile, peggio di un’anguilla. Quasi un’illusione. Ma l’amnistia sta per rimettere in circolazione il Truce che in galera si è alleato con…
Il Marzucco giocava, il gioco era legato anche alla famosa rapina, la prima e più logica pista da seguire pare quella dei giocatori e delle bische clandestine. Il cerchio con la morte di un ricettatore si allarga…
Liana Sestini si lancia con coraggio. Pietro Mai, angelo custode alla sua maniera aleggia. Si tratteggia una tenerezza fra loro che forse potrà diventare qualcosa di più
Ma la refurtiva da ricuperare scatenerà un guerra crudele senza esclusione di colpi.
Un finale da “quasi fantasmi” per i nostri eroi, ma con i fuochi d’artificio, poi la quiete dopo la tempesta. Da leggere!
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