Non chiedermi come sei nata
Due parole, forse superflue, per presentare Annarita Briganti, giornalista che ci sa fare, dico io e.. invece qui copio da twitter: che scrive di libri su tutti i media cartacei e digitali di Repubblica. Collabora al Mucchio. È una delle ideatrici e curatrici del “Soggiorno letterario”… ecc. ecc. ecc. Ci siamo riviste al Nebbia Gialla ai primi di gennaio e mi ha detto ti mando il mio libro quando esce. Ho risposto: l’aspetto. È arrivato, l’ho letto con curiosità, interesse piacere, emozione ed eccomi. E la mia diagnosi è Annarita sa raccontare, riesce a coinvolgere. Come palcoscenico per questo primo romanzo: Non chiedermi come sei nata, ha scelto il suo mondo, quello che conosce bene, per una piccola grande storia che ci infila intrigandoci in un mondo di sentimenti, di persone diverse, di ambienti dove contano solo le relazioni, di faticose ma anche esaltanti esperienze di lavoro: incontri, interviste. Si entra in giri insoliti, si affrontano nuove abitudini, si viaggia da Milano a Torino a Mantova – ambiti “nidi libreschi” culturali italiani, ma anche New York e la sua differente concezione esistenziale. In una caleidoscopica carrellata di rapporti, affetti veri, contrasti di vedute, amicizia, umanità e straordinaria forza di volontà. Un giorno, una mattina di dicembre, anzi di fine dicembre in Costa Azzurra, Gioia Lieve, trentanovenne affermata giornalista culturale free lance con una storia stabile con un coetaneo, subisce un aborto, perde un bambino che non sapeva d’aspettare. E di botto il bambino di Gioia Lieve (protagonista e voce narrante), anzi quella bambina che doveva nascere ed è stata perduta, diventa la coprotagonista, un’entità onnipresente, necessaria. Insomma deve nascere a ogni costo. Per averla niente pare inaccettabile, Gioia subisce le penose torture del percorso di una fecondazione assistita in un paese come l’Italia dove un brutta legge provoca rischi e inutili sofferenze. Affronta tutto: iniezioni interminabili, inutili test, i dolorosi tentativi andati a vuoto e quel terribile senso d’inutilità, di impotenza che provoca in una donna il non riuscire a concepire, a dare la vita, a mettere al mondo un bambino, qualcosa di desiderato, sognato, di voluto, di nostro, di noi stessi. Di noi stessi certo, perché ciascuno di noi coltiva in sé quel disperato sofferto egoismo di vedersi tramandato in un’altra persona. Ma anche un’esperienza che cambia il carattere, provoca alternativamente depressione ed euforia, in un certo senza pare quasi estraniare dalla vita normale, muta le persone e, purtroppo, talvolta le allontana invece di avvicinarle. Un percorso troppo arduo con la solitudine per compagna? Ma forse si può credere nell’amore? Tanto da portare avanti coraggiosamente la propria battaglia con la speranza di poter dire alla fine: Non chiedermi come sei nata.
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