MilanoNera incontra Lello Gurrado
Dopo la libreria Sherlockiana di Milano, dove viene avvelenata la proprietaria Tecla Dozio, la nuova location dell'ultimo giallo di Lello Gurrado, La scommessa (Marcos y Marcos), è un penitenziario. Per l'esattezza il Santa Vittoria, che ospita delinquenti speciali, quasi tutti assassini che, se non altro, "avevano puntato sull'intelligenza, non sulla brutalità".
É qui che si ritrovano il professore Francesco De Vita, detenuto numero 43, e Renato Schiavi, detenuto numero 57, rispettivamente critico letterario e scrittore di gialli.
Dalla loro convivenza forzata nel penitenziario, denominato l'albergo, per i privilegi che offre ai sessanta detenuti, nasce una scommessa: Schiavi scriverà il suo trentasettesimo romanzo e De Vita indovinerà il colpevole prima di aver letto l'ultimo capitolo.
In palio la libertà di Schiavi. Una sfida tra i due che si perpetua pagina dopo pagina del giallo che lo scrittore scrive nella sua cella in compagnia del gatto Dog.
Supervisore, suggeritore e naturalmente critico spietato il grasso De Vita, che non perde occasione per mettere voce nella costruzione narrativa del romanzo ambientato a New York, dove viene uccisa la giovane Baby Evert, amante del finanziere Bob Smith. Da qui con grande maestria e raffinatezza stilistica, Lello Gurrado dà il via al suo romanzo nel romanzo, che si conclude con un finale che lascia senza fiato.
Come sceglie a location dei suoi romanzi e quanto l'ambientazione è importante in un giallo?
La scelta della location è ovviamente legata alla storia che si vuole raccontare. Se in Assassinio in libreria non poteva essere altro che la Sherlockiana di Milano, visto che la vittima è Tecla Dozio, nella Scommessa il carcere è altrettanto fondamentale. La storia poteva essere ambientata soltanto lì.
Il carcere-albergo, all'inizio del romanzo può essere inteso come luogo al di fuori della realtà con le sue regole, ma come una sorta di isola felice lontano da mass media. Eppure alla fine giornali e tv arrivano fin lì.
Arrivano dappertutto ormai. E sarebbe un errore non tenerne conto. Anche il direttore del carcere lo sa e, se lo gestisce in un certo modo, lo fa anche perchè prima o poi i giornali e le TV possano parlarne.
La letteratura ingabbiata o scrittori e critici trasgrediscono le sue regole?
Nella letteratura gialla forse qualche trasgressione si riscontra. Ultimamente non sempre vengono rispettate alcune regole fondamentali del poliziesco a tutto danno del lettore. Voglio dire, per fare un esempio, che una volta per risolvere un caso non si ricorreva a una medium che parla con i morti e i colpevoli andavano ricercati tra gli investigatori. Ora qualcuno lo fa. Se è così, meglio restare ingabbiati.
Nel giallo che Schiavi scrive in carcere, le donne sembrano avere la meglio come mogli, figlie o amanti...
Non del tutto. Baby Evert ha una personalità forte, riesce a fuggire da una situazione familiare tosta, si libera senza esitazioni di un marito immaturo, si fa strada da sola nel mondo del lavoro. Joan anche ha molta grinta e sa farsi rispettare, diventerà probabilmente un ottimo chirurgo.
I tre personaggi maschili di Piccolo, De Vita, Schiavi hanno invece un cattivo rapporto con le donne, che tipi sono?
Certo che hanno un brutto rapporto con le donne e forse per questo hanno fatto una brutta fine. Due in galera e un terzo solo e abbandonato alla sua grettezza. Piccolo, il direttore del carcere, una persona arida e amorale, non ha mai amato veramente la moglie così come non ha mai avuto moti di vera amicizia per nessuno, se è vero che non ha esitato a punire due vecchi amici quando ha temuto ripercussioni sulla sua carriera. Il critico letterario De Vita, un misogino, lui sì, oltre ad avere seri complessi esistenziali (non sopporta di farsi vedere nudo perché troppo grasso). Il buon Schiavi, invece, lo scrittore, è il più sfortunato. Se non fosse finito in carcere sicuramente non sarebbe stato lasciato dalla moglie.
Il gatto Dog ispira Schiavi. Anche lei possiede o scrive con un gatto vicino?
Un gatto no. Io per 18 anni, e sottolineo 18, ho scritto con Art accovacciato ai miei piedi. Era un cane delizioso, uno shitzu bianco e champagne, un grandissimo amico. Ora se ne è andato e sono rimasto solo. Ne soffro parecchio, lo confesso, ma per il momento mi sembra impossibile rimpiazzarlo. Quello che vive con me adesso, Lester, non ama la letteratura. Quando mi metto al computer va a dormire sul suo cuscinone guardandomi con un'aria di compatimento.
Qualche curiosità: che cosa legge Lello Gurrado? Ama guardare la Tv?
Diciamo subito che non sono un giallista puro, di quelli che leggono solo gialli e tutti i gialli che escono. E' un genere che mi piace, ma non mi ossessiona. Come lettore sono abbastanza esigente. Se non mi prende, non esito a piantare un libro a metà, non sono di quelli che devono finirlo per forza, ce ne sono talmente tanti... Ultimamente ho spaziato dagli incubi dei racconti della Kolyma alla leggerezza di Sepulveda, dalle fantasticherie di Saramago al sorprendente La cena di Herman Koch.
Se guardo la TV? I Tg, qualche scampolo di rissa politica, alcuni film e molte, secondo mia moglie troppe, partite di calcio. Mai, neppure sotto tortura, un solo minuto tra Grandi Fratelli, Isole dei Famosi, Sanremi, Domeniche in, ecc. Ah, dimenticavo l'Eredità: quella sì, appena posso la vedo, mi intriga il giochino finale.
La scommessa è un romanzo nel romanzo, un work in progress con un finale shock, ma c'è un limite tra finzione e realtà?
Certo che c'è un limite. Ma il compito dello scrittore è proprio quello di renderlo il meno evidente possibile. Più si rende incerto il confine tra il vero e il verosimile più il romanzo acquista valore.
É qui che si ritrovano il professore Francesco De Vita, detenuto numero 43, e Renato Schiavi, detenuto numero 57, rispettivamente critico letterario e scrittore di gialli.
Dalla loro convivenza forzata nel penitenziario, denominato l'albergo, per i privilegi che offre ai sessanta detenuti, nasce una scommessa: Schiavi scriverà il suo trentasettesimo romanzo e De Vita indovinerà il colpevole prima di aver letto l'ultimo capitolo.
In palio la libertà di Schiavi. Una sfida tra i due che si perpetua pagina dopo pagina del giallo che lo scrittore scrive nella sua cella in compagnia del gatto Dog.
Supervisore, suggeritore e naturalmente critico spietato il grasso De Vita, che non perde occasione per mettere voce nella costruzione narrativa del romanzo ambientato a New York, dove viene uccisa la giovane Baby Evert, amante del finanziere Bob Smith. Da qui con grande maestria e raffinatezza stilistica, Lello Gurrado dà il via al suo romanzo nel romanzo, che si conclude con un finale che lascia senza fiato.
Come sceglie a location dei suoi romanzi e quanto l'ambientazione è importante in un giallo?
La scelta della location è ovviamente legata alla storia che si vuole raccontare. Se in Assassinio in libreria non poteva essere altro che la Sherlockiana di Milano, visto che la vittima è Tecla Dozio, nella Scommessa il carcere è altrettanto fondamentale. La storia poteva essere ambientata soltanto lì.
Il carcere-albergo, all'inizio del romanzo può essere inteso come luogo al di fuori della realtà con le sue regole, ma come una sorta di isola felice lontano da mass media. Eppure alla fine giornali e tv arrivano fin lì.
Arrivano dappertutto ormai. E sarebbe un errore non tenerne conto. Anche il direttore del carcere lo sa e, se lo gestisce in un certo modo, lo fa anche perchè prima o poi i giornali e le TV possano parlarne.
La letteratura ingabbiata o scrittori e critici trasgrediscono le sue regole?
Nella letteratura gialla forse qualche trasgressione si riscontra. Ultimamente non sempre vengono rispettate alcune regole fondamentali del poliziesco a tutto danno del lettore. Voglio dire, per fare un esempio, che una volta per risolvere un caso non si ricorreva a una medium che parla con i morti e i colpevoli andavano ricercati tra gli investigatori. Ora qualcuno lo fa. Se è così, meglio restare ingabbiati.
Nel giallo che Schiavi scrive in carcere, le donne sembrano avere la meglio come mogli, figlie o amanti...
Non del tutto. Baby Evert ha una personalità forte, riesce a fuggire da una situazione familiare tosta, si libera senza esitazioni di un marito immaturo, si fa strada da sola nel mondo del lavoro. Joan anche ha molta grinta e sa farsi rispettare, diventerà probabilmente un ottimo chirurgo.
I tre personaggi maschili di Piccolo, De Vita, Schiavi hanno invece un cattivo rapporto con le donne, che tipi sono?
Certo che hanno un brutto rapporto con le donne e forse per questo hanno fatto una brutta fine. Due in galera e un terzo solo e abbandonato alla sua grettezza. Piccolo, il direttore del carcere, una persona arida e amorale, non ha mai amato veramente la moglie così come non ha mai avuto moti di vera amicizia per nessuno, se è vero che non ha esitato a punire due vecchi amici quando ha temuto ripercussioni sulla sua carriera. Il critico letterario De Vita, un misogino, lui sì, oltre ad avere seri complessi esistenziali (non sopporta di farsi vedere nudo perché troppo grasso). Il buon Schiavi, invece, lo scrittore, è il più sfortunato. Se non fosse finito in carcere sicuramente non sarebbe stato lasciato dalla moglie.
Il gatto Dog ispira Schiavi. Anche lei possiede o scrive con un gatto vicino?
Un gatto no. Io per 18 anni, e sottolineo 18, ho scritto con Art accovacciato ai miei piedi. Era un cane delizioso, uno shitzu bianco e champagne, un grandissimo amico. Ora se ne è andato e sono rimasto solo. Ne soffro parecchio, lo confesso, ma per il momento mi sembra impossibile rimpiazzarlo. Quello che vive con me adesso, Lester, non ama la letteratura. Quando mi metto al computer va a dormire sul suo cuscinone guardandomi con un'aria di compatimento.
Qualche curiosità: che cosa legge Lello Gurrado? Ama guardare la Tv?
Diciamo subito che non sono un giallista puro, di quelli che leggono solo gialli e tutti i gialli che escono. E' un genere che mi piace, ma non mi ossessiona. Come lettore sono abbastanza esigente. Se non mi prende, non esito a piantare un libro a metà, non sono di quelli che devono finirlo per forza, ce ne sono talmente tanti... Ultimamente ho spaziato dagli incubi dei racconti della Kolyma alla leggerezza di Sepulveda, dalle fantasticherie di Saramago al sorprendente La cena di Herman Koch.
Se guardo la TV? I Tg, qualche scampolo di rissa politica, alcuni film e molte, secondo mia moglie troppe, partite di calcio. Mai, neppure sotto tortura, un solo minuto tra Grandi Fratelli, Isole dei Famosi, Sanremi, Domeniche in, ecc. Ah, dimenticavo l'Eredità: quella sì, appena posso la vedo, mi intriga il giochino finale.
La scommessa è un romanzo nel romanzo, un work in progress con un finale shock, ma c'è un limite tra finzione e realtà?
Certo che c'è un limite. Ma il compito dello scrittore è proprio quello di renderlo il meno evidente possibile. Più si rende incerto il confine tra il vero e il verosimile più il romanzo acquista valore.
complimenti Lello
sono contento di avere uno scrittore tra i Gurrado.