L’ intransigenza
“L’intransigenza” di Paolo Calabrò si potrebbe definire quasi un giallo anomalo. Ormai siamo infatti abituati a leggere romanzi – noir, thriller o gialli – in cui veniamo a contatto con i più turpi delitti. Pagina dopo pagina, incontriamo spesso cadaveri, a volte orribilmente mutilati. E i film e le serie televisive non sono, certo, da meno.
Il romanzo di Calabrò, invece, si distacca da tutto ciò. Non indulge su dettagli truculenti, sul sangue. Si può dire che non si “sporca le mani”.
Tutta la vicenda ruota attorno alla devastazione compiuta, nottetempo e da ignoti, nei locali della rettoria della Chiesa di San Leopoldo, nell’immaginario paese di Puntammare. I locali sono di proprietà del Comune, ben più interessato a che la sua giunta municipale non resti invischiata nella vicenda, che non alla giustizia. E così, parallelamente alle indagini ufficiali condotte dagli inquirenti, Nico Baselice, vigile urbano, e Maurizio Auriemma, impiegato dell’ufficio tributi, verranno ufficiosamente incaricati di indagare sull’accaduto, al fine di dimostrare la più totale estraneità del Comune rispetto ai fatti in questione.
Anche i protagonisti, investigatori dilettanti e privi di qualsiasi autorità nello svolgere le indagini, si potrebbero definire anomali. L’autore è abile nel caratterizzare i protagonisti e tutti gli altri personaggi che compaiono nel libro. Baselice ed Auriemma rappresentano quasi due antieroi, ognuno con i suoi problemi personali, le sue insicurezze e stranezze comportamentali. E sotto questo aspetto, “L’intransigenza” è anche un po’ romanzo di formazione.
Calabrò vuole principalmente indagare, scandagliare la mentalità e l’animo umani. Vuole individuare le cause che inducono le persone a comportarsi in un determinato modo, a compiere certi gesti. E, ancora, denunciare le differenze presenti tra l’essere ed il voler essere. Come molto spesso accade, infatti, anche nel suo libro le apparenze ingannano, non tutto è come appare. Ed allora bisogna essere pronti a mettere in dubbio le cosiddette certezze, senza accettarle aprioristicamente.
Lo stesso vale per la religione. Sullo sfondo del romanzo appare, infatti, un Cristianesimo degenerato e dogmatico, dominato dalla teoria filosofica del “Dio perverso”. Ed è proprio in nome di questo Dio perverso e di questa fede che le persone, a volte, giungono a compiere i più orribili misfatti.
Un giallo soft, insomma, che ha il pregio di trarre spunto dalla vicenda vera e propria per arrivare a svolgere riflessioni più ampie e profonde.
Calabrò ci lascia con alcuni misteri e segreti irrisolti. Sono sicuro che avremo modo di scoprirli nel prossimo romanzo dei “gialli del Dio perverso”.
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