Il cuore nero delle donne – la parola alle autrici
Otto cuori neri di donne che dall’antichità al Novecento sono entrate nel mito come assassine sono protagonisti dell’antologia curata da Luca Crovi Il cuore nero delle donne (Guanda)
Cuori misteriosi, afflitti, gelosi, tormentati o feriti ma soprattutto neri come il buio che si impossessa di queste donne e fa scatenare la loro furia omicida. La vendetta e la gelosia diventano la degenerazione delle loro passioni. A raccontare le vicende della Saponificatrice di Correggio, della Belva di san Gregorio, della Monaca di Monza, della Locusta, della Contessa Bellantoni, della Contesssa Tiepolo, della Furente e dell’Avvelenatrice(questi gli epiteti delle assassine) sono le otto noiriste Marta Morazzoni, Barbara Di Gregorio, Rosa Mogliasso, Ben Pastor, Elisabetta Bucciarelli, Michael Gregorio, Lorenza Ghinelli, Cinzia Tani. A capitanare la squadra femminile in noir ci pensa Luca Crovi che spiega così l’idea del volume: ”Chiacchierando con alcune amiche scrittrici mi era capitato che mi svelassero che da tempo avrebbero voluto raccontare le storie di alcune donne. E così se Lucrezia Borgia, Maria Pia Bellentani, Rita Fort e la Cianciulli sono state le prime di cui abbiamo chiacchierato, poi è venuto spontaneo pensare che si potevano coinvolgere altre autrici e chiedere loro se avessero mai pensato di raccontare altre assassine. C’è stata molta complicità da parte di tutti coloro che hanno partecipato con entusiasmo al progetto.
Ma le autrici come hanno scelto la donna assassina da raccontare?
Per Lorenza Ghinelli, Rina Fort, più di altre assassine della Storia, divenne l’emblema della degenerazione morale dell’Italia del dopoguerra. Buzzati, Pratolini, Carrieri e tantissimi scrittori e giornalisti non si curarono dell’essere umano che continuava a esistere dietro l’etichetta di “Belva di San Gregorio”, ma utilizzarono quella tragedia per dipingere la Milano di allora. I media si scagliarono invece sul personaggio della Fort negandole completamente l’appartenenza al genere umano. “Ho scelto di raccontarla non certo per cercare una sua assoluzione, ma neppure per disconoscerla dalla razza umana. Era una donna intelligente, appassionata e capace, doti che di certo non erano destinate a essere ammirate e incoraggiate durante gli anni del Fascismo. Nel ’46, con la liberazione di Milano, il corpo del Duce venne esposto in piazzale Loreto, e accanto al suo quello di Clara Petacci. Come ricorda Clara Covelli, “Per la prima volta nella storia dello stato unitario una donna occupa la scena pubblica, non nelle tradizionali vesti di madre e di moglie, ma in quelle di amante-prostituta e di corresponsabile dello sfascio della società e dello stato italiano. […]Per la prima volta un corpo femminile partecipa a un rituale politico. Il ’46 fu lo stesso anno in cui Rina Fort si macchiò del suo crimine. Le “eroine al nero” fecero così il loro ingresso nell’immaginario collettivo, e in un certo senso divennero il nuovo capro espiatorio delle angosce esistenziali che il dopoguerra poneva davanti a tutti. Raccontare l’essere umano e non il mostro è stata per me un’esigenza imprescindibile.
Rosa Mogliasso ha scelto Lucrezia Borgia perché è un vero caso di bad girl rinascimentale. Ho scelto Lucrezia Borgia perché mi sono innamorata di lei: la carne allo sbaraglio, figlia amatissima, merce di scambio, tinte fosche, profumo di zenzero, damasco e falpalà. Ottimi ingredienti.
Leonarda Cianciulli è l’assassina prediletta dai Michael Gregorio e se Mike mi risponde che Daniela è sempre stata affascinata delle donne nere e appena ci conoscemmo, più di trentacinque anni fa, mi raccontò la storia della Saponatrice di Correggio, Leonarda Cianciulli. Cominciai allora a scrivere un romanzo basato sulla sua storia, spostandolo al tempo della prima guerra mondiale e ambientandolo in Veneto dove in quel periodo vivevamo. Quel primo romanzo, The Pie Maker, non è stato mai pubblicato, ma il desiderio di raccontare qualcosa riguardo alla Cianciulli era cominciato. Daniela conferma che Fin da piccola, e parlo dell’inizio anni cinquanta purtroppo per me, sentivo nominare il nome di Leonarda Cianciulli, in casa in una duplicità di registri. L’orrore raccontato in un sussurro fra adulti di quello che Leonarda aveva fatto nella sua cucina e che era meglio che orecchie (dritte, drittissime invece) di bambina non sentissero. Ma anche il modo con cui mio padre prendeva in giro mamma quando cucinava,Che hai preparato oggi? Qualcosa alla Cianciulli? Nella memoria mi si sono sempre accavallate la visione casalinga e rassicurante di pentole annerite dal fumo della carbonella, lavandini di pietra scura dove i piatti venivano messi in acqua e un po’ di lisciva per sgrassarli, pezzi di carne che poi sarebbero stati cucinati e conservati nei modi più strani (il frigorifero non c’era), i coltelli affilati che mamma usava per tagliare i cibi.
Elisabetta Bucciarelli ha scelto invece Maria Elena Tiepolo Oggioni, imprevedibile e fragile. Costretta nelle convenzioni sociali, storiche e culturali. Bella, elegante e apparentemente completa. S’innamora, questo è il suo inciampo. L’amore è una caduta. Senza possibilità di opporsi. Una specie di malattia. Di solito accade senza logiche apparenti, in modo primordiale. Difficile sottrarsi. Per me questa donna è il simbolo di ciò che non si governa, che si scontra con il dovere e la responsabilità, che ha la rinuncia come unica scelta. Che sacrificio ha dovuto compiere? In nome di cosa? Queste le domande che mi hanno guidato nella scrittura.