Faccia a faccia con Wulf Dorn
La paura è sempre stata il filo conduttore dei tuoi libri, questa volta lo dichiari direttamente dal titolo. Perché ti affascina così tanto raccontare la paura?Forse perché prima di tutto sono un uomo pauroso. Credo poi che ogni autore abbia un tematica principale che ama trattare e sviluppare. In questo libro specifico affronto quella che è forse la paura primordiale, quella dello sconosciuto che entra non solo nella nostra società, ma addirittura nel nostro piccolo mondo privato e lo distrugge, minandone le sicurezze e il calore. Vi posso svelare che lo spunto mi è venuto da un amico che mi ha raccontato di essersi svegliato la mattina in casa propria e di averla trovata svaligiata, camera da letto nella quale lui e la moglie dormivano compresa. Il suo pensiero principale era:” Cosa sarebbe potuto succedere se ci fossimo svegliati e li avessimo sorpresi?”. Con le traduzioni dei miei libri in altre lingue e con le presentazioni che ho fatto in giro per il mondo, mi sono reso conto che la figura de ” l’uomo nero” che si usa per spaventare i bambini, è presente in tutte le lingue e culture e questo sta a dimostrare che è proprio lo sconosciuto quello che ci incute più timore. Con questo libro io ho scelto di parlare a quella paura.
Hai ambientato la storia a Londra, abbandonando per ora Fahlenberg. Pensi che tornerai a ambientare libri là?Questa storia poteva essere ambientata solo a Londra, in nessun altro posto, la storia lo richiedeva e arrivando alla fine del libro si capirà perché .
Io ho vissuto un periodo a Londra, subito dopo gli attacchi dei terroristici. Il timore era palpabile. Lo straniero era guardato con diffidenza e sospetto. Da allora purtroppo qualcosa è cambiato profondamente nella nostra società: non ci fidiamo più l’uno dell’altro, si vive continuamente con il timore che possa succedere qualcosa. Già dal prossimo romanzo comunque si tornerà a Fahlenberg.
Nella letteratura horror, che so che ami, è forse più facile fare paura e descrivere la violenza, cosa invece ben più difficile in un thriller, dove più spesso si parla di sensazioni, sentimenti, suggestioni. Perché quello che incute più paura è ciò che rimane nell’ombra, lo sconosciuto minaccioso, anche se questa volta hai dato un corpo all’ uomo nero, che non è qualcosa di astratto.
La paura ha ombre, la realtà no, perché posso vedere e capire le cose e ridimensionarle, portarle a un livello più comprensibile e quindi affrontabile. E l’uomo nero di Phobia fa proprio questo, incarna tutte le paura e le rende vive, tangibili e quindi proprio per questo affrontabili. Perché se è vero che le nostre paure ci inibiscono , ci rendono deboli e sconfitti, il riconoscerle e il fronteggiarle si trasformano in forza, in ottimismo e quindi in una grande vittoria.
E’ questo il messaggio del libro allora?
Sì, anche se credo che il lettore sia e debba sempre essere libero di interpretare il libro come vuole, come gli viene istintivo. Certo, è bello sapere che qualcosa rimane dopo la lettura e che è nata qualche riflessione, anche a prescindere dal messaggio che si intendeva trasmettere. La lettura è intima e personale, sempre.
Il personaggio “negativo ” di Phobia è diverso dai soliti personaggi cattivi dei thriller.
Ti racconto una cosa. Una volta sono entrato in libreria per comprarmi un thriller. Ho letto un po’ di trame e in tutte c’era uno psicopatico pazzo o un pazzo psicopatico. Le figure erano tutte uguali. Sono uscito con sottobraccio un libro di cucina.
Ecco, la parola “Psicopatico” parlando di thriller mi crea qualche problema. Non si parla mai di avversario o colpevole, ma di psicopatico. Io mi ero messo in mente di rompere con questo clichè e di mostrare come ognuno di noi abbia dentro di sè un potenziale di violenza che poi in un determinato momento o in una particolare situazione può far scattare qualcosa e innescare la violenza. Quando inizio a scrivere una storia io ho già tutto in mente ma, affinché la storia sia credibile, ho bisogno di conoscere a fondo i miei protagonisti, che mi piacciono tutti, buoni e cattivi, perché ritengo siano tutti importanti. Per quanto riguarda l’antagonista , sono convinto che anche questa figura debba avere qualcosa di buono, perché in questo modo io riesco a capirlo e a comprendere perché fa ciò che fa. Il male non è mai senza motivo.
Quindi quando inizi a scrivere un libro, hai già tutto in mente.
Sì, studio la trama e i personaggi e il loro sviluppo e stendo una scaletta dettagliata, un piano preciso di lavoro, perché per me la scrittura è disciplina. Anche l’ispirazione deriva dall’esercizio, dall’essere parte della storia. Sin dall’inizio il mio metodo di lavoro non è cambiato e nemmeno il modo di costruire i personaggi. Credo però di aver imparato nel tempo a conoscere meglio lo “strumento” scrittura, perché la storia è come una melodia con molti toni diversi, che vanno usati e calibrati al meglio.
L’intervista a Wulf Dorn si è trasformata in una lunga, piacevole e informale chiacchierata con una persona di grande disponiblità, gentilezza, simpatia e affabilità che sorride e ride spesso. Grazie di cuore