Avrò cura di te
La fascetta di parlava chiaro: “Un romanzo che fa bene al cuore”. Ma non è stato merito della cartolina gialla che spesso gli editori pongono come sirena commerciale, uno specchietto per incentivare il lettore a scegliere un articolo al posto di un altro, e non sono state nemmeno le sei edizioni a cadenza settimanale, ma l’invito a incontrare nella sede di Longanesi, per un brunch informale di domenica, due mostri sacri del calibro di Chiara Gamberale e Massimo Gramellini mi hanno persuaso a leggere un romanzo che credevo non fosse nelle mie corde. Ma, si sa, i preconcetti sono errori destinati a essere smentiti dai fatti.
Il tema del giorno era l’amore controcorrente. Un inno al sentimento del salmone, nella settimana di San Valentino. I due autori sono stati al gioco, dialogando con i giornalisti presenti in sala, cercando di dipanare la nebbia che confonde ragione e sentimento. Gramellini, sebbene non ami la Kinsella (e suoi derivati e dunque abbia un’idiosincrasia per il genere che mi appartiene) mi ha ipnotizzato.
In più occasioni ha ripetuto quello che dovrebbe diventare un memorandum per ogni scrittore: un romanzo, indipendentemente “dal colore” o dalla classificazione per scaffale, deve avere valenza pedagogica e non importa la trama in sé ma quanto lascia nel ricordo di chi lo legge.
Questo duo vincente ci è riuscito.
Così, forte della mia copia, sono tornata a casa e ho letteralmente divorato il romanzo epistolare: ho ascoltato le parole dell’angelo Filemone, a cui ha prestato la voce Gramellini. Ho percepito la lama nel cuore di Giò (alter ego di Chiara Gamberale) e il suo sforzo per superare il lutto di una separazione. Mi sono affezionata a questo angelo -perfettibile, quanto basta per suscitare empatia- e che si fa sempre più umano, pagina dopo pagina, fino a un finale inaspettato.
Quando, ormai svelatosi a Giò, apre un varco, con le sue parole, sotto la pelle del lettore. Spingendosi profondo, fino a far vibrare le corde del cuore. Per Filemone l’amore è una cattedrale, costruita da due Io, che diventano un “Noi”. E se ci sono difficoltà, inciampi e incomprensioni, la vera forza sta nel non desistere. Nel non abbandonare, quella costruzione, ancora incompleta. Una morale semplice ma che al centro di una notte insonne, mi ha strappato alcune lacrime.
Il colpo finale me l’ha dato Chiara Gamberale, quando mi ha dedicato la copia. Non ha smesso di guardarmi negli occhi. Gliel’ho fatto notare. E lei, una donna dalle fragilità universali che non dissimula davanti ad armature, mi ha spiegato il motivo. Non c’è una persona simile all’altra, ragion per cui Chiara, adatta le dediche a chi ha davanti. Questo gesto mi ha colpito. Come è riuscito nell’intento, un piccolo libro dalla copertina naïf. Mi sentirei, però, a questo punto di correggere la fascetta. “Avrò cura di te” è “Un romanzo che va dritto al cuore.”
A me è successo e spero accada anche a voi.
P.S Una nota folcloristica a margine. Non so se sia dovuto all’evocazione degli angeli (a cui peraltro ho sempre creduto) o al salamino piccante sulla pizza a cena, ma la notte successiva al brunch, anche a me è apparso in sogno un sedicente angelo. Si è presentato con un alzata di spalle. Era stempiato, si intuiva da sotto il cappellino da baseball e decisamente fuori forma. Data la stazza, poteva essere un angelo bukowskiano. Ma era prevedibile: d’altronde, ognuno, ha l’angelo che si merita.
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