27 ossa
Non finirò mai di ripetere che Diana sa scrivere DAVVERO ottimi thriller noir.
Quelli belli, spaventosi, che dopo fanno rabbrividire se si affronta un vicolo o un corridoio magari sotterraneo (vedi metro o sottopassaggio ferroviario) al semi buio.
Se vi chiederete cosa vuol dire il titolo ve lo svelo senza tema di togliervi la suspense perché 27 sono le ossa della mano e in questa storia le mani sono importanti. Ma nient’altro dirò. Tanto Diana è un chirurgo e quindi fidatevi, ci sa fare: tutto è perfettamente scientifico e plausibile. Nessun errore!
Altra primizia: non ho mai amato le mosche ma, dopo aver letto 27 ossa, le aborro.
Comunque torniamo alla trama.
Stavolta per metterci in fibrillazione Diana Lama riparte dalla fine di un bel racconto sanguinario, pubblicato due anni fa nell’antologia Estate in giallo, in cui aveva lasciato il suo misterioso serial killer napoletano fermo in attesa davanti al portone di Palazzo Badenmajer. Una costruzione al limite del mostruoso, stupendamente kich e gotica, con un basso corpo centrale, contrafforti ottagonali e tre svettanti torri di sette piani, voluta ai limiti del divino Bosco di Capodimonte, dal suo artefice, un architetto austriaco morto suicida.
Un Palazzo dalla fama sinistra. L’incubo del male? Uhm forse e pregno, nel suo ventre molle, di storie e leggende mostruose che parlano anche di insondabili e spaventosi sotterranei che paiono scendere fino agli inferi.
Un tempo manicomio femminile di lusso, che ospitava, si narra ancora, gli esperimenti più crudeli, chiuso di forza dalle autorità e trasformato in seguito in grande condominio elegante con inquilini che partono e arrivano di continuo.
Una coraggiosa donna poliziotto dai capelli rossi, Andrea Drago – protagonista, vittima e carnefice della novella che vi dicevo – vive là, al sesto piano.
Uscita da pochissimo dall’ospedale, è ancora sotto choc per la terribile esperienza vissuta, ferita nella carne e nell’anima per l’indifferenza di chi credeva il suo uomo e per la sospensione dal servizio per eccesso di legittima difesa. Ma tutto questo non le impedisce di intuire che a Palazzo Badenmajer sta accadendo qualcosa. Cosa vede o crede di vedere la sua claustrofobica vicina Gloria. Sono reali le sue paure? Cosa succede attorno a lei?
In cosa si impiccia l’occhialuta Eleonora che arrivata ospite dall’amica Barbara – notoriamente confusionaria e che è partita senza aspettarla, – ha deciso di riconvertirsi in scrittrice e vorrebbe cercare materiale per un thriller?
Voci narranti che inquietano e angosciano, interrotte e riprese da una sapiente narrazione che sa raccontare e intrigare.
In una storia bagnata dalla pioggia e che dura in tutto una settimana, ambientata in autunno, con un serial killer che colpisce e fa impazzire la polizia, Diana Lama descrive una Napoli vera, senza lo smalto delle cartoline, ma bella lo stesso, fatta di particolari, strade, stradine, vicoli e giardini.
Una comparsata di polso dell’equipe di profiler comandata da Durso, che avevamo conosciuto nel L’anatomista da una scossa alla trama. Sospetti, dubbi, errori ma stavolta alla fine vincerà definitivamente il bene. O c’è qualche altra sorpresa che ci aspetta?
Molto intriganti i buoni, i meno buoni e i cattivi, che meriterebbero un palcoscenico cinematografico con una folla di spettatori a tremare.
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